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Chiese sempre più brutte. È ora di dire basta!

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Carlo Cresti (Firenze 1931), architetto e ordinario di Storia dell’Architettura nell’Università di Firenze, è tra i maggiori studiosi italiani nel settore, con interessi che spaziano dalla storia dell'architettura rinascimentale, moderna e contemporanea, all'archeologia industriale, alla storia della città e del territorio, alla museologia. Tra le sue numerosissime pubblicazioni: Architetti e ingegneri nella Toscana dell’Ottocento (1978); Architettura e fascismo (1986); Orientalismi nelle architetture d’Occidente (1999); Museologia e museografia. Teoria e prassi (2006). Collaboratore di quotidiani e riviste d’architettura italiane e internazionali, è stato direttore della rivista La Nuova Città fondata da Giovanni Michelucci. Attualmente dirige Architettura & Arte, il cui fascicolo 2-4/2012, dedicato al tema Architetture e culto cattolico, si apre con il testo che qui riportiamo. L'appello appassionato di Cresti pone il problema dell'oblio, da parte dei committenti come dei progettisti, di una topica di riferimento valida, plausibile, capace di reggere il tempo. Ringraziamo l'editore Angelo Pontecorboli, al cui link http://www.pontecorboli.com  il saggio di Cresti è consultabile. Le immagini che corredano il testo sono il frutto di una scelta redazionale.

Se negli ultimi anni sono state costruite e ancora oggi si continuano a edificare tante orribili chiese che offendono le città, il paesaggio, e il sentimento religioso, la colpa è certamente da assegnare agli architetti, ma anche, in egual misura, alle autorità ecclesiastiche le quali disinvoltamente affidano gli incarichi di progettazione e sovvenzionano le realizzazioni di simili turpitudini. Anzi, siccome gli architetti sono sempre stati mercenari (ossia servitori per mercede), disponibili ad assecondare qualsiasi capriccio del committente, viene fortemente da sospettare che le colpe maggiori, le responsabilità riguardanti le recenti chiese orribili siano da attribuire alla committenza di preti cosiddetti “progressisti”, dispensatori di premi e di incarichi preferibilmente alle archistar, col consenso delle commissioni diocesane di arte sacra che approvano i suddetti orrori. E’ pure da supporre che ciò avvenga perché i componenti delle commissioni d’arte sacra, spesso ignari di competenze architettoniche, ambiscono esibizionisticamente ad apparire “moderni”, e di larghe idee “avanguardiste”. E’ sintomatico che San Vincenzo de’ Paoli dicesse, non tanto paradossalmente: «La Chiesa non ha nemici peggiori dei preti».

Richard Meier, Chiesa di Tor tre teste, 1998-2002, Roma.

A cominciare da due orrori che hanno preceduto quelli attuali, ossia dalla cattedrale di La Spezia progettata da Adalberto Libera nel 1969 (una torta rotonda neanche ben lievitata), e dalla chiesa di Gibellina Nuova ideata da Ludovico Quaroni dopo il terremoto del Belice del 1968 (una infantile, instabile palla di cemento davanti ad una inutile cavea), viene da domandarsi chi ha offerto credito alle scarse attitudini progettuali degli autori delle successive, innumerevoli e sacrileghe chiese-garage, chiese-discoteca, chiese-depositi industriali, chiese-palasport, chiese-supermercati. Un tempo nella chiesa il fedele vedeva la prefigurazione del paradiso, la Gerusalemme celeste, il mistero della fede, l’incarnazione eucaristica. Oggi invece, molte delle chiese di “ultima generazione” si configurano come veri e propri vilipendi alla religione e atti di violenza al senso del sacro. Ormai sempre più si realizzano chiese che istigano alla imprecazione piuttosto che invitare alla preghiera. Sempre più si commissionano, con compiacimento, progetti ad architetti miscredenti, in odore di estremo nichilismo. Non si lamentino quindi i sacerdoti se le chiese “moderne” e “progressiste” vanno spopolandosi di fedeli e se, esponenzialmente, va crescendo l’invasione e l’arroganza degli infedeli.

Pierluigi Spadolini, Chiesa di Torbellamonaca, 1985-87, Roma.

È giunto dunque il momento di dire basta alla troppo lunga e recente stagione delle chiese indecenti, che vanificano il concetto di sacralità; ossia necessita denunziare, ad esempio ed emblematicamente, le oscenità architettoniche costituite dalle gratuite vele (misere e mal riuscite imitazioni di quelle dell’Opera House di Sidney) di cui è dotata la chiesa di Dio Padre Misericordioso a Tor Tre Teste (2003), alla periferia romana, disegnata dalla immancabile archistar a stelle e strisce; necessita esprimere medesimo dissenso per il macchinoso profilo a lanciamissili della chiesa di Santa Maria Madre del Redentore a Tor Bellamonaca (1987), palesemente mutuato dal retorico e comunista monumento moscovita allo Sputnik (1964). È doveroso altresì indicare al pubblico ludibrio il kitsch hi-tech del tempio santuario di San Giovanni Rotondo (2004) che pare la macroapertura di un forno multiplo o l’ingresso di una esorbitante aviorimessa, nonché il repellente brutalismo del cubo-bunker in cemento armato (blasfema versione della Kaaba) destinato alla chiesa di San Giacomo a Foligno (2004), dovuto alla sinistra, pontificante presuntuosità di un raccontatore di pseudo “nuvole”. Altrettanta indignazione deve essere manifestata per la cappella al mare a Marsascala in quel di Malta, proposta nel 1991 dalla scarsa progettualità di un geometra-laureato, con croce irriverentemente messa in diagonale, copiata dalla croce inclinata della cappella funebre Bausano realizzata nel 1952 dall’architetto Venturelli nel cimitero di Torino, e ancora per il meschino connotato di scatolare, prosaica sede di supercoop assegnato dallo stesso geometra-laureato alla chiesa di San Giovanni Apostolo a Ponte Oddi di Perugia (2006) con la croce sdraiata sul tetto per essere avvistata da fedeli che forse si recano a Messa in elicottero.

A.P. Faydisch-Krandjevsky, A.N. Kotchin, M.O. Barshch, Monumento allo Sputnik, 1958-64, Mosca.

Dio perdoni gli architetti, dall’appellativo più o meno stellare, che generano tali mostri.

Si può inoltre esprimere tutto il legittimo disprezzo per la gigantesca autorimessa che dovrebbe conferire misticità al santuario di San Gabriele al Gran Sasso, e per quella sorta di capannone da cementificio edificato all’ingresso di Borgo San Sepolcro. Ma l’elencazione potrebbe proseguire in quantità inenarrabile. È pertanto necessario che le autorità religiose non perseverino nell’accettazione di oltraggiose chiese firmate da architetti-Attila, da progettisti senz’anima, ma si preoccupino di far costruire chiese idonee a ricevere i superstiti fedeli per il raccoglimento e la preghiera; non stiano ad ascoltare le vuote argomentazioni giustificative degli archi-snob; evitino di dare incarichi a progettisti che non condividono la fede, che disprezzano la religione cattolica e i suggestivi cerimoniali liturgici; evitino di seguire la moda corrente della globalizzazione che è l’alibi dell’abdicazione alla propria identità; non rinunzino alla opportuna visibilità dei tradizionali, insostituibili segni della cristianità; decidano saggiamente di tornare al valore del messaggio architettonico della forma, rifuggendo dal “minimalismo” che non è espressione di “sensibilità sociale”, bensì dimostrazione di assenza di creatività.

Così facendo, ossia rivalorizzando la funzione dottrinale e simbolica della chiesa, si può sperare di frenare il montante processo di scristianizzazione. Tornando a dare importanza all’educazione della bellezza, come forma sensibile mediante la quale si rappresenta la verità, si può sperare di restituire autenticità e vitalità al rapporto tra architettura e dimensione del sacro.

Altrimenti si moltiplicheranno le chiese ecomostri, gli scempi deturpanti, gli aspetti degradanti degli edifici che anziché destinati al culto della preghiera sono soltanto adatti ad ospitare predicatori di sociologie da marciapiede. Bisogna impedire il ripetersi della triste evidenza che «Il Verbo non si fece Carne bensì Cemento», come qualcuno, con ragione, ha scritto.

In alto: Carlo Cresti (www.pontecorboli.com). Sotto: Renzo Piano, Chiesa di Padre Pio, 1994-2004, San Giovanni Rotondo.

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