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Cultura, arte, linguaggio: la topica sensibile

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Giambattista Vico (Napoli, 1668-1744), filosofo, storico e giurista, è il più grande pensatore italiano del secolo XVIII ed uno dei maggiori dell'Europa moderna. Gli studi, oggi così in voga, di storia, archeologia ed antropologia della cultura, hanno in lui un fondamentale precursore. In polemica col meccanicismo di matrice cartesiana, Vico ribadisce che l'identità e l'integrità dell'uomo passano attraverso la comprensione delle costanti che presiedono all'esercizio del pensiero, della parola, delle arti. In tale studio consiste la “scienza nuova”, come lo stesso Vico la battezza. La concezione vichiana si riassume nella teoria dei corsi e ricorsi storici. Lungi da ogni culto astratto del progresso, Vico sostiene che civiltà e razionalità non sono dati acquisiti una volta per tutte, anzi, in ogni momento sono suscettibili di essere perdute e, dunque, può rendersi necessario ricominciare da capo il percorso di una loro riconquista. Secondo una sua celebre espressione, «gli uomini prima sentono senz'avvertire, dappoi avvertiscono con animo perturbato e commosso, finalmente riflettono con mente pura», e il processo che da uno stadio porta all'altro non è rettilineo né finalistico ma, piuttosto, circolare. Le cinque proposizioni che qui pubblichiamo facendole precedere da un titolo redazionale sono tratte dalla Scienza nuova, nella terza stesura preparata dall'autore e pubblicata postuma nel 1744. L'edizione cui facciamo riferimento è la seguente: G. Vico, Scienza nuova, paragrafi 494-98, in G. Vico, Opere, a cura di F. Nicolini, Milano-Napoli, Ricciardi, 1953. Operazione preliminare ad ogni costruzione culturale è per Vico il nesso parole-cose da cui nasce il linguaggio. Topica sensibile è, in senso etimologico, una raccolta di luoghi (in greco “tòpoi”) argomentativi, ma è altresì, in senso più ampio e permanente, facoltà della conoscenza e arte dell’invenzione. È proprio grazie al linguaggio che l'esperienza umana può strutturarsi ed accrescersi. La poesia e l'arte sono nella disponibilità dell'uomo fin dai primordi della sua vicenda. Esse risiedono nella sua facoltà di riconoscere e ordinare, esplorando il catalogo delle forme note ed apportandovi nuove e diverse variazioni.

Per le cose ragionate finora in forza di questa logica poetica d’intorno all’origini delle lingue, si fa giustizia a’ primi di lor autori d’essere stati tenuti in tutti i tempi appresso per sappienti, perocché diedero i nomi alle cose con naturalezza e propietà; onde sopra vedemmo ch’appo i greci e latini «nomen» e «natura» significarono una medesima cosa.

Ch’i primi autori dell’umanità attesero ad una topica sensibile, con la quale univano le propietà o qualità o rapporti, per così dire, concreti degl’individui o delle spezie, e ne formavano i generi loro poetici.

Talché questa prima età del mondo si può dire con verità occupata d’intorno alla prima operazione della mente umana.

E primieramente cominciò a dirozzare la topica, ch’è un’arte di ben regolare la prima operazione della nostra mente, insegnando i luoghi che si devon scorrer tutti per conoscer tutto quanto vi è nella cosa che si vuol bene ovvero tutta conoscere.

La provvedenza ben consigliò alle cose umane col promuovere nell’umane menti prima la topica che la critica, siccome prima è conoscere, poi giudicar delle cose. Perché la topica è la facultà di far le menti ingegnose, siccome la critica è di farle esatte; e in que’ primi tempi si avevano a ritruovare tutte le cose necessarie alla vita umana, e ‘l ritruovare è proprietà dell’ingegno. Ed in effetto, chiunque vi rifletta, avvertirà che non solo le cose necessarie alla vita, ma l’utili, le comode, le piacevoli ed infino alle superflue del lusso, si erano già ritruovate nella Grecia innanzi di provenirvi i filosofi, come il farem vedere ove ragioneremo d’intorno all’età d’Omero. Di che abbiamo sopra proposto una degnità: ch’ «i fanciulli vagliono potentemente nell’imitare», e «la poesia non è che imitazione», e «le arti non sono che imitazioni della natura, e ‘n conseguenza poesie in un certo modo reali». Così i primi popoli, i quali furon i fanciulli del genere umano, fondarono prima il mondo dell’arti; poscia i filosofi, che vennero lunga età appresso, e ‘n conseguenza i vecchi delle nazioni, fondarono quel delle scienze: onde fu affatto compiuta l’umanità.

In alto: Emilio Gallori, Giambattista Vico (particolare), marmo, 1900 circa, Roma, Palazzo di Giustizia. Sotto: Domenico Antonio Vaccaro (su disegno di), illustrazioni per il frontespizio dell'edizione 1744 della "Scienza Nuova" di Giambattista Vico.

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