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Matrimoni di interesse

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A detta di molti, oggi l’arte non può che sposarsi con le cosiddette “nuove tecnologie”. Se nel Rinascimento gli artisti furono anche uomini di scienza, se nei secoli XVII-XIX seguirono i progressi dell’ottica sino alla comparsa della fotografia, se le avanguardie trovarono un potente alleato nel linguaggio cinematografico, oggi, nell’era di internet, perché mai l’arte non dovrebbe essere multimediale, interconnessa, compatibile con le più varie modalità di riproduzione? Diagnosi apparentemente ovvia, in realtà ingannevole.

Beninteso, alcuni casi di profonda sintonia fra arte e cultura scientifica si sono verificati: si pensi all’invenzione della prospettiva. Si tratta però di eccezione più che di regola, e in un’epoca in cui i saperi non si erano ancora separati e specializzati. Di gran parte delle novità scientifico-tecnologiche incontrate per strada l’arte ha quasi sempre assunto – se e quando vi fossero – elementi meramente funzionali, di natura produttiva e distributiva.

Quando, trent’anni fa, comparve una novità chiamata telefax, vi fu un breve proliferare di operazioni artistico-estetiche pensate per essere prodotte e riprodotte a distanza grazie a tale strumento. Lasciamo immaginare la noia di un’opera d’arte che usciva a poco a poco dalla stampante, accompagnata dal bzzz bzzz del modem. Poi la moda si sgonfiò, e le speranze utopiche e messianiche di interattività e ubiquità si spostarono sulla nascente civiltà elettronico-informatica.

Poco o nulla è cambiato da allora. Semplicemente, le immagini sono spettacolari e rutilanti, si muovono, si trasformano, nascono e muoiono alla velocità del pensiero. Più che unioni coniugali, tra arte e tecnologia si stipulano alleanze a termine, matrimoni di interesse reversibili in ogni istante. Non sarà romantico ma è così.

In alto: Norman McLaren, Honeycomb, 1946, dipinto stereoscopico, Stirling, University of Stirling Library (online.sfsu.edu).
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