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Classicità, mondanità, senilità

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Abbiamo più volte commentato certi atteggiamenti compulsivi, che fungono da lubrificante nel circuito del contemporaneo. Alcuni in particolare si ripresentano con regolarità tale da farli annoverare fra i tic e le manie, per non dire le nevrosi. Nell’insieme, essi sono riconducibili a tre grandi categorie, che testimoniano non libertà intellettuale ma, al contrario, subalternità a schemi obsoleti.

Classicità. Più chiassosa e infantile è l’esibizione (dall’inglese exhibition, qui assai più pertinente di “mostra”), più ci si adopera per circondarla di richiami all’antico, ambientandola in luoghi prestigiosi e ricchi di atmosfera. Non sarà che i valori di cui non vi è traccia nell’artista e nelle opere, li si va a ricercare nella cornice, e cioè nella villa, nel palazzo, nella chiesa sconsacrata, nel rudere?

Mondanità. L’esibizione ha il suo rituale nei brindisi, nelle degustazioni, nell’eleganza, nella musica. Nulla in contrario, ci mancherebbe. Ma quando tutto inizia e finisce lì, sorge il sospetto che dell’esibizione non ci sia nulla da dire, e che l’operazione in quanto tale consista appunto nel parlare d’altro.

Senilità. Gli organizzatori e fautori dell’esibizione si atteggiano a giovani, ostentando l’intransigenza di quando giovani lo erano davvero e lanciavano improperi a chi, dall’alto dell’età e dello status sociale, li opprimeva. Ma oggi sono anziani, di quell’anzianità che pateticamente si tinge di senilità. E come le vecchie glorie della musica rock, vogliono rinverdire fasti ormai trascorsi. I giovani veri compaiono quasi solo per bere, mangiare e assentire educatamente. A bocca piena, assentire è facile. Ma brindare alle rimpatriate delle vecchie glorie non è mai bastato per diventare grandi.

In alto: Henri de Toulouse-Lautrec, Parodia del "Bosco Sacro" di Puvis de Chavannes, 1884, olio su tela, cm. 172 x 380, Princeton, Princeton University Art Museum, The Henry and Rose Pearlman Foundation.
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