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L’arte fatta a macchina

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Illustratore, scrittore, giornalista e poeta, collaboratore del  Giornalino della Domenica, del  Corriere dei Piccoli, di  Topolino e di numerosi altri periodici per l'infanzia, il sanremese Antonio Rubino (1880-1964) è stato un esponente di primo piano della letteratura infantile nell'Italia del secolo XX. Come tutti i migliori autori in questo campo, egli era perfettamente cosciente di avere qualcosa da dire anche agli adulti. Con la sua lingua colloquiale ma stringata e il suo elegante stile grafico, sbocciato dal liberty e maturato attraverso la lezione del Futurismo e dell' Art Déco, Rubino sapeva infatti incantare i più piccoli, per stuzzicare anche i loro genitori. Nella sua lunga carriera, Rubino esplorò diverse declinazioni dell'umoristico e del fantastico, fino alla fantascienza, genere in cui si iscrivono le sue "fiabe del futuro" uscite fra il 1932 e il 1934 sul  Corriere dei Piccoli. La  fiaba qui riproposta, L'arte fatta a macchina, uscì sul numero 43, 1933, del settimanale per bambini edito dal Corriere della Sera. Essa è una divertente parodia della cultura artistica modernista, scaduta a repertorio di trovate più o meno irrilevanti. In quest'ottica, l'anziano signor Fulmine appare come il decano di tutti gli ex ribelli che, giunti a occupare posizioni di prestigio, tramandano alle nuove generazioni la propria visione del mondo, spacciando per rivoluzionario un sistema di valori ormai autoreferenziale ed obsoleto. Tra i molti spunti anticipatori presenti nel testo di Rubino, non sfuggirà, nel dialogo fra Lampino e Gigi, il riferimento alle "mille lire al mese" di stipendio che qualche anno dopo, nel 1939, daranno il titolo alla celebre canzone registrata da Gilberto Mazzi con l'orchestra di Pippo Barzizza. Per l'edizione completa delle fiabe fantascientifiche di Rubino, vedi A. Rubino, Fiabe del tempo futuro in stile Novecento, a cura di Renato Giovannoli, Stampa Alternativa, Viterbo 2012. Un ringraziamento ad Augusto Giuffredi per la preziosa segnalazione.

Quando spunterà l’alba dell’anno duemila, non esisteranno più artisti di nessun genere, perché l’arte si farà tutta a macchina, automaticamente.

Quello dell’arte sarà un problema esclusivamente meccanico, e il sistema di disegnare, dipingere, scolpire a mano sarà completamente abbandonato come una cosa stupida, complicata e fuori moda, paragonabile al camminare a piedi e allo schiacciare le nocciole coi denti.

Non soltanto esisteranno macchine brevettate per la pittura e per la scultura, ma anche un analfabeta potrà, per mezzo di calcolatrici speciali, scrivere in musica ed in poesia.

Una società anonima mondiale, la F.R.A.M. (Fabbriche Riunite Arte Meccanica), sopperirà largamente al fabbisogno artistico di tutto il mondo, fornendo opere perfette a prezzi di assoluta concorrenza.

Proprietario e direttore di questa grossissima azienda sarà un certo signor Fulmine che, prima di dedicarsi all’industria, avrà fatto di professione il pittore cubista. Questo signore, malgrado i suoi cent’anni d’età e malgrado la podagra che l’affliggerà, sarà Fulmine di nome e Fulmine di fatto.

Ogni mattina, tra un colpetto di tosse e una presa di tabacco, egli farà un’invenzione che abilissimi ingegneri specializzati metteranno immediatamente in pratica.

Infinite saranno le trovate di Fulmine. Inventerà il sistema di dipingere con la mitragliatrice carica di tubetti di colore, inventerà il sistema di deformare le statue allungandole o spiaccicandole, inventerà il bussolotto fisarmonico per estrarre a sorte le note musicali del “jazz”, inventerà i quadri fluorescenti da guardarsi di notte allo scuro, inventerà la pietrificazione diretta delle nature morte, la poesia senza parole, i disegni mobili ottenuti con la limatura di ferro per mezzo della corrente elettrica, la fotopittura deformante concava e convessa, le esposizioni girevoli montate su perno, le case pneumatiche gonfiabili e sgonfiabili a volontà, la rumorosità dei colori, i bassorilievi ambulanti, le assicelle che, esposte al sole, diventano quadri, eccetera, eccetera, eccetera.

Tutti i giorni la FRAM lancerà qualche novità nuova: una volta sarà un libro di alluminio che, appena aperto, sprigionerà un gas esilarante, spiritosissimo; un’altra volta sarà una casa razionale che si aprirà e si chiuderà come le scatole dei fiammiferi; un’altra volta ancora sarà un intonaco cristallizzante che, inumidito, farà sulle pareti gli affreschi da solo.

In mezzo a tanta abbondanza nessuno avrà più volontà di fare l’artista, allo stesso modo che nessuno, al giorno d’oggi, si mette in mente di farsi una bicicletta, ma preferisce comprarsela già fatta.

L’arte fatta a macchina andrà a ruba, e le opere d’arte fatte a mano verranno considerate un vecchiume di cui tutti si sbarazzeranno con orrore: tutto questo materiale di rifiuto verrà acquistato dalla FRAM a un soldo al pezzo e distrutto sistematicamente.

Uniche a sopravvivere saranno le opere custodite nei musei, ma di esse il pubblico, troppo affaccendato, non avrà il tempo di occuparsi.

Fulmine avrà un unico nipotino di nome Lampo. Questo bimbo, bello e intelligente, avrà però un grossissimo difetto: quello di annoiarsi sempre di tutto e di tutti. I giocattoli meccanici più bizzarri, i pupazzi automatici più perfezionati, invece di divertirlo, lo irriteranno.

Quelli che più di tutto gli urteranno i nervi saranno i quadri e le sculture della ditta FRAM.

– Perché questa signora ha la faccia verde? – chiederà Lampo a nonno Fulmine.

– Perché l’ultima maniera è quella li, – risponderà il vecchio.

– Che cosa significa questo pesce giallo con i piedi rossi?

– Non significa niente, ed è bello appunto per questo!

Queste risposte esaspereranno il bimbo che finirà per fare dei capricci tremendi.

– Voglio sapere il significato! Voglio sapere il significato! – urlerà pestando i piedi.

Non potrà ammettere che una donna abbia la faccia verde senza motivo: non potrà ammettere che un grande faccia una cosa priva di significato, per il solo gusto di farla.

In mezzo a questi contrasti, Lampino finirà per diventare un bambino misantropo e melanconico: l’unico suo divertimento sarà quello di nascondersi in qualche angolo del giardino e di fantasticare, guardando il cielo e le nuvole. Più di una volta la governante mora lo troverà verso sera con un fiorellino in mano, addormentato tra l’erba.

– Questo bimbo è un sentimentale – sentenzierà il nonno, addolorato. – Doveva capitarmi anche questa!

Un bel giorno, ecco che cosa succede.

Il piccolo Lampo, eludendo la sorveglianza della governante mora, ha un’idea. Prende posto sulla sua automobilina a motorino ridotto, scappa fuori dal cancello e fila verso la collina.

Va e va, giunge su di un’altura rivestita di prati e coronata di boschetti. Mai, nei quadri fatti a macchina, Lampino ha visto un paesaggio così bello. Tutto quello che vede è vivo, limpido, fresco: i fiori poi son tanto moderni che sembrano addirittura nati ieri.

Lo strano è questo: gli alberi, l’erba e il cielo non hanno niente di strano: sono come il buon Dio li ha fatti e non si vergognano di essere come sono. Poco sotto, in una conca verde, alcune capre stanno pascolando. Un pastorello, curvo su di una pietra liscia, sta facendo col carbone un disegno molto interessante, tanto è vero che, quando Lampino gli rivolge la parola, non si volta neppure.

– Che significato ha questo disegno? – gli chiede Lampo.

– Non è un significato! – risponde il pastorello. – È Giulina, la mia capretta, ch’è la capretta più bella del mondo!

– E perché ha le corna così corte?

– Perché ha quattro mesi appena!

– Chi ti ha insegnato a disegnare?

– Nessuno! Ho imparato da me, per gioco!

– Come ti chiami?

– Gigi di Cecco, e tu?

– Mi chiamo Lampo, ma preferisco essere chiamato Lampino.

I due fanno subito amicizia e passano l’intera giornata a scarabocchiare i sassi col carbone.

Quand’è sera, Lampino dice al pastorello:

– Gigi di Cecco! Vieni con me a casa mia!

– Non posso, perché ho le capre!

– Porta a casa mia anche le capre!

– Che cosa dirà mio padre?

– Tuo padre dirà di sì, e io ti farò dare mille lire al mese!

In seguito all’insistenza di Lampino, Gigi di Cecco, pastorello, viene assunto da nonno Fulmine come giardiniere con la paga di mille lire mensili, ma, oltre a curare i fiori, dà in segreto lezioni di disegno al padroncino. Disegna oggi, disegna domani, il maestro finisce col diventar professore e lo scolaro maestro.

Un bel mattino nonno fulmine, attraversando il corridoio, vede le pareti coperte da bei disegni a carboncino. Inforca gli occhiali e s’accorge, con suprema indignazione, che si tratta di disegni fatti a mano.

– Chi ha commessa una simile infamia, in casa mia? – urla con un nodo alla gola.

– Noi due! – risponde con la massima sfacciataggine Lampino, affacciandosi con Gigi dal fondo del corridoio.

Ma tanto lui quanto Gigi sono costretti a scappare per sottrarsi all’ira del vecchio Fulmine che li insegue, brandendo una pantofola. Discendono in due salti la scala ed escono in strada, di corsa.

Dopo aver corso un bel po’, sentendosi al sicuro, i due si fermano, traggono fuor dalle tasche i carboncini e si mettono a disegnare sul marciapiede. La gente comincia a fermarsi, si pigia per vedere, diventa folla.

– Disegnano a mano libera. Disegnano a mano libera! – commentano tutti, al colmo dello stupore.

Man mano che il marciapiede si riempie di disegni, le grida di ammirazione crescono di tono.

– Si tratta di un’arte nuova! Guardate che somiglianza! Guardate quella capra: somiglia proprio a una capra! Guardate quella faccia, assomiglia proprio alla faccia di una persona! Che verità! Che vita! Che modernità!

La notizia si diffonde fulminea: i grandi quotidiani inviano sul posto redattori, critici d’arte e fotografi e, dopo un quarto d’ora, escono in edizioni straordinarie.

I bimbi, applauditi, festeggiati, colmati di carezze e di cioccolatini, vengono portati in trionfo attraverso la città e nominati grandi uomini per acclamazione.

Questi avvenimenti avranno una portata enorme. Gigi di Cecco, novello Giotto, rivoluzionerà in pochi mesi l’arte, liberando il duemila dalle strane mode del passato. Sulle orme del maestro, Lampino in un lampo diventerà Lampone.

Tutti e due faranno progressi tali che davanti alle loro opere la folla piangerà di felicità, come succede ai convalescenti quando torna la primavera. Qualcuno si ricorderà anche dei musei e si precipiterà a visitarli, ma, entrandovi, rimarrà molto male. Troverà tutti i personaggi dei quadri celebri con gli occhi chiusi, come morti.

I medici, chiamati d’urgenza, faranno portare tutti i capolavori all’aperto e praticheranno loro la respirazione artificiale: ma per fortuna non si tratterà che di un profondo sonno che, alla luce del sole, dileguerà.

La prima a svegliarsi sarà la Gioconda di Leonardo che, come la Bella addormentata nel Bosco, è capace di dormire cent’anni senza invecchiare. Malgrado le proteste e i brontolamenti di nonno Fulmine, l’arte fatta a mano tornerà di moda. L’arte fatta a macchina non verrà abolita, ma servirà unicamente a divertire i vecchi che, come nonno Fulmine, non sapranno come passare il tempo.

In alto: Antonio Rubino fotografato a Sanremo negli ultimi anni di vita (www.sanremostoria.it). Sotto: Antono Rubino, Manifesto "I numeri dei bambini/4", anni '20 del secolo XX, litografia su cartoncino, cm. 64 x 87, Soc. An. A. Mondadori, Verona, Reparto Materiali Didattici (www.cambiaste.com).

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