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Zia Mame si dà all’arredamento

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Fin dalle sue origini settecentesche, il romanzo moderno dà ampio spazio alla parodia delle mode e degli stili, in primo luogo nel vestire e nell'arredamento, i campi in cui meglio emergono le personalità, le inclinazioni, le vanità individuali. Le situazioni che ne nascono offrono al narratore la possibilità di sfoderare il meglio del proprio repertorio umoristico e satirico, dando vita a personaggi di grande efficacia, intinti di precisi riferimenti storici ed ambientali. Uno di questi personaggi è senz'altro Zia Mame, protagonista dell'omonimo romanzo (Auntie Mame, 1955) di Patrick Dennis (pseudonimo di Edward Everett Tanner III, 1921-1976). Figura eccentrica quanto lo stesso Dennis - autore di grande successo negli USA del secondo dopoguerra - Mame passa da un'occupazione all'altra nella New York degli anni ruggenti, a cavallo tra la grande crisi del 1929 e l'età del proibizionismo, trascinando nelle proprie avventure il giovane nipote, voce narrante del libro. Nell'episodio che segue, Mame trova impiego presso lo studio di Elsie de Wolfe (1865-1950), decoratrice d'interni al tempo famosissima. La difficoltà di far convivere tradizione classica e aspirazioni moderniste fa ben presto crollare la credibilità professionale di Mame, in un crescendo catastrofico. Vedi Patrick Dennis, Zia Mame, a cura di M. Codignola, Adelphi, Milano 2009, pp. 64-67.

Zia Mame passò senza batter ciglio dall’editoria a un’altra branca delle arti, la decorazione d’interni. Che avesse un suo gusto, magari un po’ bizzarro, non si poteva negare. In ogni caso, alcuni tratti della sua personalità erano precisamente quelli richiesti nel settore dell’arredamento, dove fascino, originalità, maniere e buone conoscenze rappresentano altrettanti requisiti imprescindibili. Dunque, che zia Mame venisse accolta a braccia aperte nell’atelier rococò di Elsie de Wolfe e delle sue allegre assistenti era più o meno scritto.

Grazie a quello che chiamava il suo «ascendente», e alla capacità di intrattenere l’ascoltatore su temi quali Reggenza e Direttorio, zia Mame si trovò subito a suo agio in un lavoro che le offriva, oltre a uno stipendio del tutto soddisfacente, commissioni principesche. Ma nonostante il contubernio forzoso con le arti decorative francesi, zia Mame aveva un cuore, e quel cuore batteva molto più forte per il Bauhaus di Dessau che per tutte le rocailles e coquilles di Versailles.

Per un certo periodo, comunque, riuscì a moderare i suoi istinti progressisti e a mantenersi in sintonia con i colleghi della Elsie de Wolfe’s, cinguettando quanto e più di loro su tristi candelabri da parete in bronzo e discutibili orologi retti da putti. Sotto l’occhio vigile di un supervisore, arredò in stile Luigi XV l’androne di un palazzo sulla Quinta Strada, una sala da pranzo nella Oyster Bay e un boudoir in Gracie Square. Poi, in un folgorante assolo, sistemò la suite della sua amica Vera all’Algonquin alla maniera di Prud’hon, e cioè inzeppandola con montagne di monnezza Impero che si era procurata sulla Avenue A. La stanza e la sua occupante finirono addirittura sulle pagine di «Home Beautiful», evento che valse a zia Mame una lettera d’encomio da parte di Elsie de Wolfe in persona, oltre a una repentina fama presso l’unica categoria che all’epoca potesse permettersi mobili d’antiquariato – i trafficanti d’alcol. All’inizio neppure lei si capacitava fino in fondo di un successo che rischiava di darle alla testa, ma dopo aver messo su tre o quattro appartamenti Bonaparte a Central Park West si stufò comunque di cariatidi e colonne, cedendo di nuovo al prurito modernista. Dal punto di vista estetico era un indubbio passo avanti, da quello finanziario, fu il tracollo.

La grande occasione le si presentò in autunno, quando i suoi servigi vennero richiesti da Mrs Riemenschneider, vedova di un imprenditore di Milwaukee che aveva fatto fortuna col surrogato di birra. Alla signora ormai Milwaukee andava stretta. Sognava new York, e il tipo di posizione sociale che un pozzo di soldi e i suoi derivati aiutano a costruire nel corso di tre o quattro generazioni. Solo che non intendeva affatto aspettare tre o quattro generazioni. Del resto poteva pagare in contanti, e questo, nel 1930, rendeva tutto molto più facile. Dopo sei o sette ore in città, la signora aveva comprato un’elegante villetta dalle parti della Sessantesima, e aveva staccato a zia Mame un assegno da centomila dollari, chiedendole di arredarle la casa «come Fontemblò». Dopodiché, strappata la promessa che i lavori sarebbero finiti entro Natale, era partita per un suo giro di sartorie parigine.

In effetti per Natale erano finiti sia i lavori che zia Mame. Il richiamo del modernismo di Dessau si era rivelato troppo forte – almeno quanto i termini usati da Mrs Riemenschneider al suo ritorno, nello scoprire che la facciata di marmo della sua deliziosa villetta era stata divelta, mentre all’interno non solo le pareti divisorie non esistevano più, ma lo spazio creato dalla loro scomparsa era occupato da mobili d’acciaio inossidabile, sculture in fil di ferro, e da ogni altra fantasmagoria cubista che il connubio di denaro e immaginazione aveva potuto partorire. Mrs Riemenschneider ripartì immediatamente per Milwaukee, non prima però di aver denunciato i responsabili dei lavori, dai quali pretendeva, oltre alla restituzione dei centomila dollari, il ripristino dello status quo.

I giornali ci andarono a nozze. Per giorni la stampa scandalistica indugiò in allitterazioni quali «arte atea», «barbarie bolscevica» e «mania modernista». Un titolista particolarmente ispirato battezzò la zia «Mame la Matta», e ben due autorevoli opinionisti aprirono i rispettivi elzeviri con una frase molto simile, il cui senso era come Picasso saprebbe dipingere anche mio figlio, che va in terza elementare. Ovviamente zia Mame venne cacciata dalla Elsie de Wolfe’s.

In alto: Patrick Dennis in una foto di anonimo scattata nel 1959 durante un party all'Avana (www.legacyprojectchicago.org). Sotto: Frontespizio riproducente fotografia ed autografo dell'autrice, dal libro di Elsie de Wolfe, "The House in Good Taste", New York, The Century Co., 1913 (New York Public Library/Public Domain Archive).

 

 

 

 

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