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L’arte in piazza

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Sosteniamo da tempo che esistono un’arte “privata”, che opera sotto lo statuto della poetica e ne segue le regole, ed un’arte “pubblica”, che agisce invece sotto lo statuto dell’etica e ne rispetta le leggi. Questo assunto teorico ci si è presentato come concreta realtà con la partecipazione all’edizione 2017 della Biennale del Muro Dipinto di Dozza (BO), manifestazione nella quale alcuni artisti vengono invitati a dipingere un’opera sui muri del borgo. Nell’edizione di quest’anno, le due posizioni succitate si sono programmaticamente confrontate, costringendo i sei artisti invitati a venire a patti con i propri statuti di riferimento. Gli artisti “pubblici”, esperti nell’intervento su spazi urbani ed architettonici, si sono dovuti confrontare con la proposta “poetica” degli artisti “privati”, che, a loro volta, costretti a realizzare su muri esterni le loro opere, hanno dovuto affrontare la questione “etica”, cercando un dialogo con l’architettura e lo spazio urbano. Tutte e sei le opere scaturite da questo confronto sono di estremo interesse, ma è sulle due realizzate nella frazione di Toscanella, che si incentrerà la nostra riflessione.

Dozza è un borgo pittoresco della prima collina bolognese, caratterizzato dalla stratificazione delle opere succedutesi nelle varie edizioni della manifestazione, disposte sui muri di case e palazzi con una logica da galleria all’aperto. Toscanella è invece il nuovo quartiere di espansione in pianura, lungo la via Emilia, dove vive la maggior parte della popolazione. Ciò ha attirato la nostra attenzione, perché il “decoro del nuovo”, cioè la ricerca del corretto rapporto fra arte pubblica ed architettura contemporanea, è un tema oggi di pressante attualità. A rendere più interessante la sfida vi è il fatto che, nelle edizioni precedenti, Toscanella è stata oggetto di interventi da parte di writers e/o graffitisti, che hanno realizzato opere, in sé e per sé, non prive di pregi. Doppio confronto quindi, da un lato con l’edilizia contemporanea, dall’altro con ciò che in questo momento viene presentato come Public Art, con l’obiettivo dichiarato di definire un approccio deontologico corretto nell’intervento di arte pubblica. Come si interviene quindi in una architettura e che ragionamento segue l’artista nel decidere di intervenire su un edificio, costruito o in costruzione che sia?

In primo luogo, va notato che l’artista entra in scena a progetto esecutivo ormai concluso. L’idea romantica del costruttore-artista medioevale, che integra il decoro con la struttura dell’edificio, è incompatibile con le normative e la cantieristica attuali. Le normative odierne e i vincoli dell’edilizia contemporanea, fanno del progettista una figura inevitabilmente specializzata. La sua proposta progettuale è da considerarsi, giocoforza, la migliore possibile. L’intervento di decoro in un’opera di arte pubblica, quindi, è sempre un’operazione di completamento e valorizzazione di un progetto già in essere. E, come tale, è sottoposto ai vincoli, all’idea-guida e alle finalità civili e funzionali del progetto stesso. L’artista raccoglie dal progettista il testimone della funzionalità pratica e completa la corsa verso l’efficienza estetica. Si parte generalmente da un sopralluogo, perché il contesto reale nel quale l’edificio è o verrà costruito va “respirato”. I limiti dell’intervento e le peculiarità del contesto fisico-urbano in cui si andrà ad operare, vanno colti, per così dire, “a pelle”. A questa primaria percezione emotiva fa seguito un’analisi razionale dei punti di decoro e di in-decoro, sia dell’edificio che del contesto.

I punti di decoro sono facili da individuare perché, in genere, si dispongono lungo il percorso di chi entra nell’edificio: sviluppandosi cioè nello spazio antistante, sulla facciata, sul portone d’ingresso, nell’atrio, e via dicendo. Qui l’obiettivo consiste nell’esaltare e nel valorizzare l’idea del progettista, riprendendo e portando a compimento una serie di funzioni che il progettista stesso aveva già aveva impostato da par suo. Decori di facciata, disegni complessi per pavimentazioni, mosaici o bassorilievi per le pareti dell’atrio, e via dicendo, sono le opere canoniche da collocare in quei luoghi, che, per la loro primarietà funzionale e simbolica, si possono legittimamente definire “topici”. Questo risvolto è talmente chiaro che, spesso, sono i pittori e gli scultori ad intervenire direttamente, perché l’opera d’arte si colloca già nella prospettiva pensata dal progettista.

Molto più difficili da individuare sono i punti di in-decoro, e l’intervento su di essi richiede la competenza specifica di un decoratore. Si tratta essenzialmente di tutte quelle strutture, pertinenze e/o preesistenze, che il progettista deve di necessità inserire nel proprio progetto. Ad esempio: un muro di contenimento in cemento armato, un lotto dalla forma irregolare, una cabina elettrica nel giardino, eccetera. Ogni progetto è una sorta di slalom fra l’uno e l’altro di questi ostacoli, cosicché la forma finale dell’edificio è quasi sempre un compromesso, fra ciò che si voleva e ciò che si è potuto effettivamente realizzare. Su questi aspetti, che possono essere sia compositivo-proporzionali (un corpo di fabbrica irregolare per vincoli urbanistici), sia strutturali (scale di sicurezza, colonna dell’ascensore, eccetera) si interviene allo scopo di mascherarli o di nasconderli. Le strategie d’intervento sono paradossalmente opposte: o la decorazione crea un artificio visivo che distoglie lo sguardo dal problema, o, al contrario, lo esalta al punto da promuoverlo ad elemento qualificante dell’edificio. Nel duplice intervento di Toscanella, questo assunto teorico è stata declinato nella pratica con risultati esemplari, per certi aspetti addirittura da manuale.

Il primo intervento, da considerarsi decisamente “ortodosso” in rapporto alle premesse di cui sopra, ha visto lo scrivente coinvolto in prima persona in qualità di autore-esecutore. L’intervento è stato effettuato sulla sede comunale di Toscanella. Si tratta di un edificio di un certo pregio, nel quale il progettista ha a suo tempo messo in atto tutti gli espedienti necessari a dare ai punti di decoro il loro giusto valore. La facciata è risolta con uno stile monumentale e – benché vi campeggi un enorme dipinto, risalente ad una precedente edizione della Biennale – qualunque intervento su di essa può considerarsi pleonastico. Spesso accade, però, che l’uso quotidiano di un edificio da parte degli utenti si discosti, in tutto o in parte, da ciò che l’architetto aveva auspicato in sede progettuale. In questo caso, pur nell’indubbia importanza e prestigio che la facciata dell’edificio comunale di Toscanella può vantare, un buon numero di cittadini entra in realtà dal retro, sia per la comodità del parcheggio adiacente, sia perché la presenza al piano terreno di un poliambulatorio medico richiama un flusso ininterrotto di utenti.

L’ingresso posteriore della sede comunale di Toscanella presenta un punto di in-decoro, che il progettista aveva in parte già affrontato: la colonna dell’ascensore. Anziché essere inglobata nell’edificio, essa era stata infatti evidenziata come elemento esterno, allo scopo di interrompere una altrimenti lunghissima facciata posteriore. Si sono potuti così isolare due corpi di fabbrica, trattati anche con colori diversi, per rendere più leggero l’insieme, che incombe su una stretta via laterale. Nonostante queste accortezze, già presenti nel progetto originale, rimaneva il fatto che l’entrata posteriore era in realtà diventata, per molti cittadini, l’entrata principale, e che la torreggiante colonna dell’ascensore, seppur promossa al rango di elemento architettonico, rimaneva ancora opprimente, non completamente risolta rispetto alla nuova funzione che il tutto si trovava a svolgere. È quindi risultato naturale, in occasione di questo intervento decorativo pensato per la Biennale del Muro Dipinto, farla oggetto di un intervento che avesse come principio-guida la perfetta integrazione – sia nel dimensionamento, sia nelle cromie – fra decoro e architettura. Il tutto, nella convinzione che un effetto damascato, tono su tono, fosse il più idoneo per un contesto pubblico e sanitario, ove le persone si recano per necessità e non per diletto. Solo un cenno sul motivo prescelto: un meandro rivisitato in chiave monumentale, giocato a controscambio sull’intera superficie muraria, e chiuso con alcune anomalie che ne fanno un’immagine finita e non un motivo a correre, ripetibile all’infinito.

Il secondo dei due interventi su cui si incentra la nostra riflessione, si sviluppa in una direzione diametralmente opposta rispetto al precedente. L’edificio prescelto per ospitarlo è un ex-mulino posto a ridosso della via Emilia, e ristrutturato come condominio negli anni ’60 del secolo scorso. In sé l’edificio risulta privo di qualunque pregio, proprio a causa della ristrutturazione, coerente con gli assunti dell’edilizia residenziale del periodo. Volendo agire oggi sui suoi punti di decoro, si sarebbe comunque potuto ricavare qualcosa di accettabile, ma non era questo il problema. La questione di fondo consisteva nel fatto che è l’intero edificio a trovarsi in una condizione di in-decoro, proprio perché collocato sulla via Emilia e quindi destinato ad essere, suo malgrado, “biglietto da visita” dell’intero paese. Questione talmente sentita che l’Amministrazione Comunale, solitamente neutrale riguardo alle scelte degli artisti invitati, qui invece si è adoperata affinché proprio questo edificio fosse oggetto di un intervento. La sfida è stata raccolta da Alberonero (pseudonimo di Luca Boffi, giovane e bravissimo artista pubblico) il quale ha agito in maniera totalmente “eterodossa”, puntando con la propria opera a nascondere l’architettura. Egli è intervenuto sulla facciata dell’edificio, che è poi la parte incriminata, perché visibile da lontano dal rettilineo della via Emilia. E lo ha fatto centrandovi una composizione elementare, a scacchiera, con le tipiche cromie che caratterizzano la sua “poetica”.

La composizione quadrata regolarizza la facciata perché dialoga con la simmetrica disposizione di due finestre sovrapposte che rimangono ai lati, ma contemporaneamente maschera la caotica successione centrale di altre aperture. Il dato importante, tuttavia, consiste nel fatto che la potenza della composizione cromatica attira l’attenzione anche da lontano, distraendola totalmente dalla percezione di un edificio decisamente fuori luogo. “Integrazione” e “dis-integrazione” sono quindi le due polarità, i due limiti estremi entro cui agire. E siamo convinti che il contesto di Toscanella offra modelli esemplari, sui quali ognuno può svolgere le proprie valutazioni di merito.

In alto: particolare e intero del murale di Marco Lazzarato, 2017, intonachino su muro, cm. 900 x 200, sede municipale di Toscanella di Dozza.  Sotto: il murale di Alberonero, 2017, tempera su muro, cm. 500 x 500, ex-mulino di Toscanella, Dozza.

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