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Naïf oggi

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Naïf : “ingenuo”, “innocente”, “originario”, “primitivo”, come recita il dizionario francese-italiano. In meno di centocinquant’anni, cioè da quando il Doganiere Rousseau iniziò a far parlare di sé e l’etichetta che avrebbe poi identificato un’arte sorgiva, non acculturata, era solo un appellativo attribuito con malcelata sufficienza, quella che abbiamo conosciuto come “arte naïf ” sembra essersi ormai estinta. Non che il “pittore contadino” od “operaio”, come si diceva ricorrendo a un’espressione paternalistica, coniata in alternativa ad altre più brutali come “pittore della domenica”, non esista più. Semplicemente, il repertorio di chi amava raffigurare la stalla, la vendemmia, l’osteria, il circo e la nevicata, il tutto in modi semplici e sgrammaticati, non fa più notizia, se non in ambiti locali molto limitati.

Ma le cose sono più complesse di quanto sembri. Una naïveté  vera o presunta, spesso pretestuosa ma comunque esotica, è ostentata da molti degli artisti che, provenendo dall’Asia, dall’Africa, dall’America latina, dall’Oceania, si affacciano sul panorama che fa capo alle grandi esposizioni internazionali d’arte. A sua volta, il culto per un’arte “infantile” (in realtà prolungata indefinitamente fin dentro l’età adulta) va per la maggiore, ed è facilmente spendibile in ambito pedagogico e didattico, a tutti i livelli dell’istruzione artistica. Infine, la diffusione planetaria di una cifra astratto-informale quale che sia, purché “spontanea” (?), porta ulteriore acqua al mulino di una “creatività” dilettantistica che, se non è né ingenua né innocente quanto alle proprie responsabilità culturali e civili, è, questo almeno sì, banalmente naïf, nell’approccio semplicistico ed autoreferenziale al quale costringe sia se stessa, sia i propri fruitori.

In alto: moto Guzzi "Normale", 1921 (www.motoinfo.it).

 

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