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Orizzontali e verticali

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Le commemorazioni e i ricordi suscitati dalla recente scomparsa di Umberto Eco, hanno insistito su un aspetto saliente del pensiero del grande scrittore ed intellettuale: l’aver energicamente combattuto l’annosa separazione della cultura in “alta” e “bassa”, in “accademica” e “popolare”. Gli effetti di questa apertura vanno ben al di là di quanto lo stesso Eco avrebbe mai potuto immaginare ai suoi esordi. Anche solo in campo didattico e pedagogico, non vi è settore – dalle prove scritte per gli esami di stato, ai nuovi indirizzi di studio che hanno ampliato a dismisura l’offerta delle istituzioni universitarie – in cui la scienza dei segni e le logiche della comunicazione a tutto campo non abbiano fatto il loro ingresso.

Tuttavia, la schematizzazione in alta e bassa cultura è una scorciatoia troppo facile e comoda, un po’ come le ossessioni complottistiche che lo stesso Eco ha tante volte parodiato, dimostrando come esse si rivelino brillanti se prese alla stregua di congegni narrativi, palesemente inadeguate, invece, come strumenti di spiegazione ed analisi della realtà. È vero che da una concezione storicistica, strutturata in verticale, si è passati in pochi decenni ad una antropologico-sociologica, in cui prevale l’orizzontalità. Ma non per questo il cruciverba si risolve meglio.

Quella che è infatti veramente a rischio è una cultura diffusa, definibile come tale perché basata su cognizioni trasversali, che consentano non solo e non tanto di comunicare (che cosa?) quanto di trasmettere la conoscenza, di promuovere l’artigianalità, di dialogare facendo. Lo status di chi guarda dall’alto verso il basso era un valore aggiunto della cultura universitaria, una rendita di posizione cui si accedeva col conferimento della laurea. Quel gruzzolo potrà anche aver perso il suo potere di remunerazione, ma il problema della vitalità dei saperi, delle arti e delle tecniche, resta più che mai aperto.

In alto: Umberto Eco (www.doppiozero.com).
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