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Grande bellezza, piccola arte

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Dopo aver vinto l’Oscar per il miglior film straniero, La grande bellezza ha fatto molto parlare di sé anche in Italia. Eppure, quasi nessuno è sembrato accorgersi del ruolo fortemente simbolico che vi svolgono i rituali dell’arte contemporanea, anche se molte sono state le espressioni, da “decadenza” a “crisi” a “tardo impero”, sparse a piene mani per dire quale Roma, quale Italia, quale cultura è quella che si vede nel film di Paolo Sorrentino. A sua volta il regista-sceneggiatore si è prudentemente schermito, facendo un po’ il cinico e un po’ l’indulgente, col rischio di sovrapporsi fin troppo ai suoi personaggi.

Una Marina Abramovic “de noantri” che, nuda e bendata, prende la rincorsa andando a sbattere contro un antico acquedotto; una ragazzina di buona famiglia obbligata a imbrattare di colori una grande tela; un uomo ancora giovane e dal carattere introverso che espone un’interminabile sequenza di autoritratti fotografici, uno per ogni giorno della sua vita. I tre eventi artistici immaginati nel film sono accomunati da un filo rosso: un’operazione di per sé insignificante viene confezionata in una cornice mondana, patinata, antiquaria, che la nobilita, e senza la quale non resterebbe che il caso sociale più o meno bizzarro.

Sì, anche quest’arte serve a raccontare l’oggi. Ma serve solo perché manipolata da un artista vero come Sorrentino. Infatti non siamo più in presenza di eventi artistici interpretabili anche con strumenti sociologici. Piuttosto, sono essi stessi il frutto di astrazioni pseudosociologiche (solitudine, identità, devianza, e chi più ne ha più ne metta), e in esse si esauriscono. Il film si conclude col protagonista Jep Gambardella finalmente fiducioso: forse inizierà a scrivere, dopo tanti anni, il suo secondo romanzo. Ma la performance che lo fa optare per un nuovo inizio è avvenuta fuori dal Circo Barnum delle provocazioni vuote e autoreferenziali; è assurda fin che si vuole ma è vera: è il naufragio della Costa Concordia all’Isola del Giglio.

In alto: pagina dal Quarto Vangelo di Decani (particolare), sec. XV, Decani, Monastero.
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