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Hueso. Il paradigma, le interpretazioni

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Il motivo a huesos

La dimensione autoriale, fondamentale nella storia dell’arte, resta in secondo piano nella decorazione. Questa è, per eccellenza, vicenda collettiva: non vi sono quasi mai nomi, e spesso nemmeno scuole o botteghe, a cui attribuire una particolare invenzione compositiva. Eppure, una variazione anche minima rispetto a un modello già noto, può dare la sensazione di un disegno completamente diverso, rendendo addirittura irriconoscibili i collegamenti culturali, tecnici e stilistici che pure sussistono tra epoche diverse.

In altre parole, ogni epoca, ogni civiltà imprime il suo marchio di fabbrica su questo o quel pattern decorativo, lo impregna dei valori che sente propri, ma nessuna ne è la titolare esclusiva. Schemi ornamentali antichissimi possono tornare alla luce in età posteriori, dove meno ce lo si aspetterebbe. Di fronte ai motivi ornatistici che fanno la storia della decorazione, lo spazio e il tempo, così come normalmente li si concepisce in storia dell’arte, tendono a venir meno.

Una valida controprova di quanto detto fin qui, ce la offre un pattern decorativo, tratto da quel formidabile campionario che è costituito dalle maioliche parietali dell’Alhambra di Granada, concepite e realizzate – con un ventaglio di approssimazione cronologica piuttosto ampio – entro la prima metà del secolo XIV. Parliamo del motivo a tasselli chiamati huesos (in spagnolo “ossa”), che, insieme a molti altri basati anch’essi sulla tassellazione regolare del piano, rappresenta uno dei tesori non solo artistici, ma anche matematici e filosofici, custoditi nella celebre cittadella fortificata arabo-ispanica 〈1〉.

La stessa denominazione huesos (hueso al singolare) con cui la composizione è nota, rinvia alla cultura iberica. Tuttavia, ciò non significa che quello a huesos sia un motivo esclusivamente locale, privo di antecedenti e di sviluppi. Ma prima di procedere con qualche esempio, riferibile a luoghi e tempi diversi tra loro, occorre dare una descrizione più precisa di ciò che, in termini geometrici semplici e intuitivi, si intende per hueso.

Struttura e percezione

La composizione a huesos poggia su una griglia a base quadrata, completa di diagonali. Come si arriva a visualizzare gli huesos? Utilizzando i lati opposti di ciascun quadrato e l’innesto delle relative diagonali, per tracciare figure trapezoidali rientranti/sporgenti rispetto al quadrato stesso. Ne emerge un poligono a dodici lati, rientrante nella parte centrale e sporgente alle estremità, modulabile sul piano con rotazioni di 90°. Di qui, per la somiglianza col classico osso (tibia, femore) più stretto nel fusto e più largo nelle parti terminali, il nome hueso.

Ma basta osservare gli schemi grafici relativi alla costruzione del motivo a huesos, per rendersi conto che le ambivalenze percettive che consentono di giocare su di esso, trasfigurandolo e variandolo, sono semplicemente il corollario dei procedimenti tecnici usati per delinearlo, e delle forme e figure che quei procedimenti fanno balzare all’occhio.

Costruzione del hueso a partire dal quadrato singolo e componibilità del hueso entro la griglia quadrata (Mde Vicente/Wikimedia Commons).

Come tutte le esperienze di tassellazione regolare del piano, infatti, anche gli huesos ci mettono di fronte alla constatazione che la via attraverso cui un motivo si rende visibile, non è mai una e una sola. Vi è una via maestra, scientificamente rigorosa, alla quale si affiancano scorciatoie empiriche, che portano però allo stesso risultato finale. La stessa cosa avviene con molti problemi matematici, risolvibili in modi più o meno ortodossi.

Abbiamo già detto della griglia a base quadrata, sulle cui linee-guida si fanno rientrare e sporgere le forme trapezoidali necessarie a visualizzare gli huesos, ripetendoli e moltiplicandoli sul piano. Ma basta mettere a fuoco una diversa porzione di spazio, per rendersi conto che sarebbe anche possibile rapportare il quadrato-base della griglia non all’intero hueso, ma solo al suo tratto centrale, un quadrato più piccolo. Con questo ridimensionamento della griglia, ogni hueso risulterebbe essere composto di tre quadrati allineati l’uno dopo l’altro, e di quattro settori triangolari affiancati al primo e al terzo quadrato, a formare due esagoni irregolari, schiacciati.

Struttura geometrica del hueso; il quadrato di sinistra corrisponde al pattern (cioè all’unità minima, alla matrice) da reiterare sul piano per ricoprirlo interamente con il motivo a huesos (Mario Fioravanti/www.geogebra.org).

Ovvio che, dal punto di vista matematico-geometrico, le due procedure appena accennate sono come le facce di una stessa medaglia: la griglia più grande implica la più piccola e viceversa; entrambe sono figlie dello stesso pensiero. Ma dal punto di vista empirico (e ogni valutazione di carattere estetico si compie per via empirica), ciascuna delle due è portatrice di informazioni differenti e complementari. La prima, infatti, fa brillare l’unitarietà del hueso in quanto figura dal contorno sinuoso, cellula autosufficiente e reiterabile; la seconda ne evidenzia le connessioni e le discontinuità interne. A monte dell’una e dell’altra, vi è l’assortimento di figure geometriche, continuamente trasformabili, che la costruzione del pattern mette in campo. Nella prima procedura, le sporgenze e le rientranze del pattern nascono dal gioco dei trapezi che, sommandosi l’uno all’altro, formano un esagono. Nella seconda, lo stesso esagono emerge dall’unione di un quadrato coi due triangoli a esso attigui.

Analogamente, se si vuole individuare il pattern (cioè l’unità minima, la matrice) da reiterare sul piano per ricoprirlo interamente col motivo a huesos, emergono due possibilità alternative, a seconda dell’angolazione che si intende privilegiare: il quadrato corrispondente all’area dell’hueso, se si hanno come riferimento le orizzontali e le verticali della griglia; la losanga di identica area, se si hanno come riferimento le diagonali.

Il pattern (cioè l’unità minima, la matrice da reiterare sul piano per ricoprirlo interamente col motivo a huesos) individuato in forma di losanga.

Ripetiamolo: dal punto di vista matematico-geometrico, quelle appena fatte sono considerazioni irrilevanti, ma dal punto di vista artistico se ne possono trarre conseguenze diverse e tutte ugualmente valide. In che modo? Optando per pochi o per molti colori, unificando o dividendo, armonizzando o contrappuntando. E ancora: optando per un utilizzo pavimentale o parietale (il motivo a huesos contempla, cosa per nulla scontata, entrambe le possibilità), per dimensioni piccole o grandi, per questo o quel materiale. In altri termini, compiendo delle scelte di opportunità e di gusto e valutandone la ricaduta complessiva.

Dunque, non c’è motivo di pensare che l’invenzione e l’uso degli huesos siano un’esclusiva del mondo arabo-ispanico, anche se la perfezione del motivo dell’Alhambra non ha eguali e, quindi, è comprensibile che gli si attribuisca un valore canonico, impensabile per altri esempi di hueso. Ma nessuno di tali esempi è inutile nell’economia della decorazione, e tutti offrono spunti di riflessione interessanti. Vediamo allora di individuare, limitandoci al panorama italiano, alcuni usi del motivo a huesos che si affiancano al modello-principe e ne propongono valide varianti.

Venezia

Per trovare un’invenzione decorativa antecedente l’Alhambra, nella quale i presupposti matematico-geometrici del motivo a huesos siano già sostanzialmente acquisiti, occorre retrocedere alla seconda metà del secolo XI, quando presumibilmente viene realizzata la pavimentazione marmorea – poi sottoposta a manutenzioni e restauri periodici, incluse importanti modifiche di età rinascimentale – della Basilica di San Marco a Venezia. Tra i tanti motivi che riprendono e sviluppano la tradizione romano-bizantina dei mosaici pavimentali, ce n’è uno che si ripete assai di frequente, come riempitivo di cornici, pennacchi ed altri spazi che attorniano le composizioni più importanti 〈2〉.

Si tratta di un hueso non esplicitato come forma autonoma, chiusa, ma tripartito in due esagoni e in un quadrato (con losanga iscritta) di collegamento, dalle forti pulsazioni dinamiche e cromatiche. Le tre immagini qui riprodotte a titolo di esempio, mostrano quale sarebbe stata la forma unitaria del hueso. Ma perché questa forma unitaria ancora non c’è? Perché i decoratori del massimo monumento architettonico veneziano la visualizzano in modo implicito, non compiuto? Come sempre, le motivazioni di carattere estetico e quelle di carattere tecnico si rispecchiano le une nelle altre.

Tre dettagli del pavimento marmoreo della basilica di San Marco a Venezia (il puntinato arancione evidenzia contorno e posizionamento degli huesos).

Il pavimento di San Marco è in massima parte costituito di porzioni di marmi e porfidi di dimensioni piccole o piccolissime: tessere in parte dal formato fisso – con la faccia visibile a forma quadrata o triangolare – in parte tagliate su misura per assecondare andamenti curvi, ondulati, poligonali. Unica eccezione, le lastre di pietra relativamente più grandi, che segnano il centro di vaste composizioni geometriche quali rotae, rosoni, riquadri.

Dal punto di vista produttivo, i piccoli formati non hanno alternative nelle pavimentazioni medievali a spiccata valenza decorativa. Le tecniche e gli utensili di origine tardoantica, utilizzati in cantiere per ricavare da blocchi di pietra di diverso colore gli elementi lapidei da collocare a pavimento, implicano che le forme più complesse si ottengano, ove necessario, dall’unione di forme poligonali elementari. L’estetica decorativa medievale, che da forme primarie ama far scaturire immagini di grande complessità, basate sulla ripetizione e moltiplicazione parossistica dei singoli microelementi, si rispecchia alla perfezione in queste procedure apparentemente semplici, cumulative, e lontane dalla mimesi naturalistica.

Nel caso di Venezia, poi, c’è da considerare la natura del suolo, fangoso e cedevole, su cui gli edifici sorgono; cosicché pavimenti e fondazioni fluttuano su di esso piuttosto che posarvisi stabilmente. Con la sua tessitura finissima, il pavimento di San Marco asseconda nel migliore dei modi la condizione spugnosa, fluida, delle fondazioni, adagiandosi su di esse come un tappeto elastico, docile ai rigonfiamenti e alle depressioni. Pavimentazioni a elementi più ampi e omogenei appariranno, e non solo a Venezia, più avanti, comportando lo sfoltimento e la regolarizzazione prospettica delle composizioni 〈3〉.

Granada

La civiltà araba ormai al suo culmine apre a soluzioni compositive più complesse, anche se non radicalmente diverse, rispetto a quelle già viste a Venezia. Nella Spagna del sultanato Nasride è fiorente l’industria del laterizio e della maiolica. Tanto più a parete e a soffitto, dove il problema del calpestio non si pone e gli apparati ornamentali possono espandersi a oltranza, la possibilità di introdurre elementi modulari variabili, portatori di motivi e colori liberamente orchestrati, non conosce limiti. Vi sono insomma tutte le condizioni – a prescindere dalle eccellenti competenze matematico-geometriche che la cultura araba del tempo può vantare – affinché un poligono irregolare come l’hueso, e altri che sarebbero del tutto fuori portata per la produzione lapidea, divenga realtà 〈4〉.

Motivo a huesos, prima metà del secolo XIV, rivestimento in maiolica, Granada, Alhambra, Salón de Comares.

Come per il più semplice dei motivi a base quadrata, la scacchiera, anche per quello a huesos bastano due colori per far risaltare efficacemente il pattern. Ma gli artisti dell’Alhambra portano i colori a quattro, creando una delicata polifonia di bianco (huesos orizzontali), nero, giallo-arancio e turchese (huesos verticali). Se in San Marco gli huesos ancora “impliciti” portano in dote, nei piccoli quadrati, triangoli ed esagoni lapidei che li compongono, un ventaglio cromatico vibrante, continuamente mutevole nelle sue sfumature, all’Alhambra sono i decoratori stessi a corredare gli huesos, ormai esplicitati nel materiale ceramico, di una gamma di tinte perfettamente stabili e codificate.

Enna

Questa breve carrellata di motivi a huesos in architettura fa ora un balzo in avanti, per aggiornarsi alla fine del secolo XVIII in Sicilia, nel duomo di Enna. In quegli anni, la fisionomia dell’edificio, con le opere d’arte che lo abbelliscono, è ormai ampiamente acquisita. Dopo il completamento della Cappella dedicata alla Madonna della Visitazione (1737-1753), che vede imporsi sulla scena locale una serie di valenti architetti (Antonio Amato, Domenico Bevilacqua, Francesco Battaglia) formatisi alla scuola del barocco messinese e catanese, ai ricchi rivestimenti marmorei del duomo manca solo la pavimentazione delle navate, completata intorno al 1781 〈5〉.

Ebbene, la navata centrale appare lastricata col classico motivo a huesos già visto nell’Alhambra, portato a grande scala e tagliato in marmo dai colori bianco e rosso, a scandire in modo chiaro e regolare il cammino che, dal portale, conduce verso l’altare maggiore. Ciascun hueso si compone di tre lastre – una quadrata e due esagonali – formanti una figura perfettamente unitaria. Rispetto alla fastosa decorazione rinascimentale-barocca che caratterizza gli elementi verticali e il soffitto, la discontinuità è evidente, ed è ulteriormente sottolineata dalle due fasce in marmo bianco e grigio, dal motivo a greca tipicamente neoclassico, che separano la navata centrale dalle due laterali.

Uno scorcio della navata centrale del duomo di Enna (Radek Kucharski/Wikimedia Commons).

Un apprezzamento così tangibile per il motivo a huesos, in una città siciliana del secondo ‘700, si può difficilmente immaginare senza tenere conto degli strettissimi legami politici e culturali che, dal secolo XIV fino all’unità d’Italia, passando con alterne vicissitudini attraverso le dinastie degli Aragona, degli Asburgo e dei Borbone, univano l’isola alla monarchia spagnola. Ancora più indietro nel tempo, non è certamente un caso che, in anticipo sulla stessa Spagna, la Sicilia medievale avesse sperimentato una prolungata dominazione araba, i cui riflessi artistici e culturali perdurarono fin dentro l’occupazione normanna e sveva dei secoli XI-XII. In questo senso, la somma dei due motivi che campeggiano nella navata centrale – hueso e greca – suona quasi come il manifesto programmatico di una Sicilia che, per posizionamento strategico e trascorsi storici, fa da ponte fra il mondo grecoromano e quello islamico.

Le stesse condizioni ambientali di Enna – ad oggi il capoluogo italiano posto più in alto sul livello del mare – ne fanno una città molto particolare rispetto allo stereotipo costiero e marittimo che si ha della Sicilia e, anche da questo punto di vista, l’aspirazione a stabilire, tramite l’inserimento di un motivo come gli huesos, una sorta di rimando a Granada e alla sua celebre roccaforte, non è immotivata. Gli huesos del Duomo di Enna potrebbero insomma essere le spie di una circolazione culturale distribuita su un ampio ventaglio geografico. Un ventaglio mediterraneo, più che europeo come oggi comunemente lo si intende.

Possagno

Un ultimo cambio di scena ci riporta nelle Venezie, non più nella Serenissima però, ma in terraferma, a Possagno. Qui, tra il 1834 e il 1836, su progetto dell’architetto veneziano Francesco Lazzari, viene edificata la Gipsoteca Canoviana, il museo destinato a contenere gessi e bozzetti del genius loci, lo scultore Antonio Canova (1757-1822) 〈6〉.

Il pavimento della sala principale non è certo fra gli elementi che, al cospetto delle opere canoviane, si impongono all’attenzione, ma vale comunque la pena soffermarvisi. Esso presenta infatti un’ulteriore interpretazione del motivo a huesos, realizzata in lastre di marmo dalle tonalità bianca e rossa, molto simili a quelle posate mezzo secolo prima nel duomo di Enna. Davanti a questa coincidenza, l’inizio e la fine della parabola neoclassica sembrano idealmente congiungersi, come in un cerchio che si chiude. Ma le analogie tra il caso veneto e quello siciliano finiscono qui.

Sala principale della Gipsoteca Canoviana di Possagno (Davide Mauro/Wikimedia Commons).

Il pavimento dell’ambiente più prestigioso della Gipsoteca di Possagno, infatti, sembra rifarsi non tanto al modello-principe di Granada, quanto a quello, ancora “implicito”, che abbiamo visto proliferare a breve distanza da Possagno, nella basilica veneziana di San Marco. Succede che, a differenza di quelli di Enna, i grandi huesos in marmo bianco e rosso si frammentano e si compenetrano a vicenda. A risaltare, però, non sono né il quadrato centrale, né le due appendici esagonali, come nei piccoli huesos di San Marco, ma i trapezi rossi “ritagliati” al di qua o al di là degli assi di riferimento. Congiungendosi a gruppi di quattro, i trapezi formano un motivo rotatorio, a elica, di chiara ispirazione solare, come la croce e la svastica. Esso dinamizza fortemente lo spazio, relegando a semplice sfondo le porzioni bianche di pavimento, e storna ulteriormente l’attenzione dagli huesos, la cui fisionomia resta inespressa, ipotetica ma comunque leggibile, proprio come in San Marco.

Questo omaggio colto, quasi sotto traccia, alle radici più antiche della cultura decorativa veneziana, non stupisce, se si pensa alla capillarità con cui, nel corso dei secoli, questa aveva permeato la costiera adriatica ed egea e l’entroterra padano. La costruzione, negli anni in cui l’ex Repubblica Veneta era ormai soggetta agli austriaci, del museo dedicato al più grande scultore veneto (e italiano) dell’età moderna, ne rappresenta uno degli ultimi, grandi scatti d’orgoglio. Anche un dettaglio apparentemente marginale, come quello qui esaminato, sta a ricordarcelo.

〈1〉 L'acropoli granadina venne edificata a partire dal 1238, su preesistenze tardoantiche e altomedievali, per impulso di Muhammad ibn Nasr, fondatore della dinastia nasride del sultanato di Granada, per passare poi nel 1492, con la reconquista, ai re cattolici di Spagna. I cicli decorativi realizzati con formelle in maiolica si possono far risalire, con una certa approssimazione, alla prima metà del secolo XIV. Vedi O. Grabar, The Alhambra, Solipsist Press, Sebastopol (California) 1992; R. Irwin, The Alhambra, Harvard University Press, Cambridge (Massachusetts) 2004; D. Fairchild Ruggles, The Alhambra, in Encyclopaedia of Islam, III edizione, Brill, Leiden 2008.

〈2〉 Sul pavimento della basilica di San Marco: E. Vio (a cura di), Il manto di pietra della basilica di San Marco a Venezia, Cicero, Venezia 2012. In questa stessa rivista: M. Lazzarato, Il pavimento della basilica di San Marco a Venezia, 28 febbraio 2015; M. Lazzarato, La matematica nella decorazione medievale, 25 dicembre 2019.

〈3〉 Vedi in proposito W. Wolters, Architettura e ornamento. La decorazione nel Rinascimento veneziano, Cierre Edizioni, Verona 2007.

〈4〉 Sui pattern geometrici in rapporto alla tassellazione del piano: B. Grunbaum, G.C. Shephard, Tilings and Patterns, W.H. Freeman and Company, New York 1986.

〈5〉 Sul duomo di Enna: A. Ragona, Il duomo di Enna, Publisicula, Palermo 1988. Sulla cultura architettonica siciliana del secolo XVIII: F. Fichera, G.B. Vaccarini e l'architettura del Settecento in Sicilia, Reale Accademia d'Italia, Roma 1934, voll. 2.

〈6〉 Sulla Gipsoteca canoviana: G. Cunial, La Gipsoteca canoviana di Possagno, Fondazione Canova, Possagno 2003; G. Cunial, M. Guderzo, M.Pavan, Il Museo e la Gipsoteca di Antonio Canova di Possagno, Fondazione Canova, Possagno 2012.

In alto: motivo a huesos, prima metà del secolo XIV, rivestimento in maiolica, Granada, Alhambra, Salón de Comares. Sotto: uno scorcio della navata centrale del duomo di Enna (Giuseppe Arangio/Wikimedia Commons).
 

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