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Modulo, pattern, motivo

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Nel momento stesso in cui si intende ridare impulso alla pratica della Decorazione, riorganizzandone la metodica e la scolastica, la questione della terminologia tecnica diventa imprescindibile. Come distinguere le varie fasi progettuali, come denominare i diversi stadi di elaborazione, dall’idea di base al traguardo finale?

Se Decorazione è l’arte che sovrintende al decoro dei manufatti (ma su questo dovremo evidentemente tornare in un’altra occasione), l’Ornato, cioè l’insieme delle immagini e degli schemi decorativi disponibili, costituisce a tutti gli effetti la “materia” della Decorazione. Materia nel senso sia di “essenza” (come il colore per la pittura o il volume per la scultura) sia di “sostanza” (il pigmento ad olio o a tempera per una campitura pittorica, il marmo o il bronzo per la scultura). E’ quindi sull’Ornato e sulla relativa terminologia tecnica che si deve fissare l’attenzione in questa fase preliminare.

“Qamarrieh”, motivo islamico per grata o finestra.

Una prima perplessità è data dal concetto di pattern, espressione tanto universale nell’uso quanto approssimativa nel significato. La sua legittimità riposa sull’autorità dei grandi studiosi anglossassoni, dall’archeologo Flinders Petrie 〈1〉 allo storico dell’arte (di cultura mitteleuropea ma di lingua inglese) Ernst H. Gombrich 〈2〉. In sostanza, pattern starebbe a designare tutto ciò che si ripete con regolarità, secondo un ordine, dal motivo per carta da parati alla trama di una stoffa alla disposizione delle piastrelle su un pavimento. Le traduzioni italiane di pattern potrebbero oscillare da “modello”, “tipo”, “campione”, “esempio”, fino a “stampino”, “archetipo”, “paradigma”. Uno spettro semantico troppo vasto per una parola sola.

Ma finché si trattava di studi teorici, la cosa poteva passare. In un’epoca in cui, per di più, la decorazione era considerata arte ormai desueta e fuori moda, il solo termine pattern dev’essere sembrato sufficiente a coprire, seppur non senza ambiguità, le più disparate occorrenze. Il problema si acutizza quando, come nel nostro caso, si vuole recuperare la terminologia tecnica e diviene necessario indicare operazioni precise con parole altrettanto precise. Cominciamo allora col distinguere le tre fasi in cui si divide la produzione di un ornato:

a. l’elaborazione del disegno-base;

b. il suo movimento sul piano (ripetizione, ribaltamento, rotazione, ecc.), secondo una griglia precostituita;

c. la ripetizione del tutto sulla superficie, entro la medesima griglia di base.

Questa prassi determina tre “oggetti” concreti, di cui quello finale (una stoffa a pois per esempio) è il risultato di una reazione a catena che l’artista innesca, ma di cui non può né selezionare né indirizzare l’esito finale, perlomeno non come avverrebbe con una scultura o un quadro da cavalletto. I tre “oggetti” sono quindi:

c. la stoffa a pois;

b. lo stampo, cioè la matrice lignea, fotomeccanica o serigrafica, che ripetendosi stampa la stoffa;

a. il progetto iniziale, cioè il disegno dei punti sulla maglia base della griglia e la previsione del loro movimento sul piano, che ne determina distanza e disposizione sulla stoffa.

Abbiamo invertito volutamente la successione degli “oggetti” rispetto a quella delle fasi, perché è da quest’ottica che tutto il processo si spiega. Si compra un certo vestito perché è proprio quella disposizione dei pois che piace, ed è quella che il produttore ha ritenuto proponibile fra le tante che, a sua volta, l’artista gli aveva sottoposto. Proprio quella stoffa è l’oggetto d’indagine dello studioso (sia esso storico, collezionista, conservatore, ecc.), mentre le altre opzioni, per il semplice fatto che non sono state prodotte, non esistono. Il punto di partenza è ciò che c’è, non ciò che avrebbe potuto o potrebbe essere. Per definire tale realtà e tutti i processi che vi sono implicati, Gombrich si affida, come detto, al termine omnicomprensivo di pattern. Noi proponiamo di sostituirlo con il termine motivo, più rispondente all’idea di una costruzione compiuta e riconoscibile. Proponiamo invece di circoscrivere la definizione di pattern alla matrice fisica che serve a produrre l’oggetto, e quella di modulo al disegno-base compreso nella singola maglia della griglia. Riassumendo nell’ordine in cui i tre “oggetti” vedono la luce:

a. il modulo è l’insieme di segni compreso dentro la cella della griglia di riferimento;

b. il pattern è lo “stampino” che fisicamente serve per la riproduzione dell’ornato e che comprende un congruo numero di moduli;

c. il motivo è il disegno finale reso leggibile dallo sviluppo complessivo dell’ornato.

Schema di motivo a quadrati e losanghe, dal pavimento della Basilica di San Marco, Venezia.

Riconsideriamo quanto detto finora alla luce di un altro esempio, preso stavolta da un capolavoro della decorazione architettonica. Fra i mosaici del pavimento della Basilica di San Marco, a Venezia, ve ne è uno a quadrati inclinati che si toccano in un angolo. Secondo la terminologia che abbiamo appena introdotto, si tratta di un motivo a quadrati inclinati e tangenti in posizione angolare. Se però, anziché i quadrati, evidenziamo gli spazi risultanti fra l’uno e l’altro, otteniamo un motivo a losanghe intrecciate e tangenti ai vertici, simile a quello delle lamiere antisdrucciolo che rivestono i gradini delle scale metalliche. I motivi sono opposti, ma il loro progetto iniziale è identico. E cioè un modulo quadrato suddiviso in quattro sottomoduli costituiti da quadrati opportunamente inchinati e speculari fra loro. Evidenziando i quadrati o gli spazi di risulta si ottiene l’uno o l’altro motivo. I due pattern, invece, sono assolutamente differenti: per il mosaico si sarà trattato di un cartone da spolvero, per la lamiera antisdrucciolo di un rullo con incise le losanghe. Allo studioso interesserà l’alternativa losanghe-quadrati, al decoratore i ribaltamenti del modulo, all’artigiano gli “stampi”, cioè i pattern dotati del numero sufficiente di moduli necessari ad una veloce esecuzione del manufatto.

Tutta la disciplina ornatistica si articola su due griglie principali: quadrata e a triangoli equilateri. Il cerchio non genera griglie proprie, in quanto l’assemblaggio di più cerchi alla distanza minore genera a sua volta un triangolo equilatero. Altri tipi di griglie o derivano dalla complicazione di quelle di base (ornatistica islamica), oppure sono eccezioni di cui è superfluo trattare a livello di principio (ad esempio, le losanghe del floreale ottocentesco). Un esempio di griglia è il comune foglio a quadretti. Il suo uso quotidiano, “ingenuo”, ne chiarisce anche la funzione per il decoratore.

Movimenti del modulo L sul piano quadrettato (disegno di Marco Lazzarato).

Se su un foglio a quadretti ne anneriamo una fila otteniamo una I, oggetto banale e privo d’interesse, che potremo variare creando un angolo retto. Quello a forma di L è il primo modulo intuitivo ottenibile su una griglia quadrata. Se lo ruotiamo su se stesso con spostamenti di 90°, avendo come perno un’estremità della L, otteniamo una svastica o “croce gammata”. Affiancandone invece più d’uno otteniamo un banale motivo a pettine LLL. Capovolgendolo otteniamo una “gamma” (la Γ dell’alfabeto greco), e dalla sequenza di L e Γ un interessante motivo ondulatorio LΓLΓLΓ chiamato comunemente “greca”. Ricalcando su di un lucido un tratto sufficientemente lungo di questo motivo e sovrapponendolo perpendicolarmente al suo originale, otterremo un motivo a meandri orizzontali e verticali che si sviluppa sul piano e ha nelle svastiche i nodi d’incrocio. Fatto questo, possiamo modificare il modulo-base o le sue composizioni successive, ottenendo motivi sempre diversi ma comunque riconducibili alla svastica se isolati, alla greca se a correre lungo una linea, al meandro se sviluppati sul piano.

Da questa semplice esperienza emerge come la catalogazione scientifica dei movimenti del modulo (iterazione, ribaltamento, rotazione…) sia sostanzialmente superflua ai nostri fini. Schema di motivo a quadrati e losanghe, dal pavimento della Basilica di San Marco, Venezia.Il modulo suggerisce da sé, intuitivamente, i movimenti possibili, e non ha senso ricondurre ogni volta ciò che si sta facendo a regole generali, di ordine matematico-geometrico. Gli ornatisti si sono sempre serviti di tabelle riassuntive dei movimenti più complessi, ma come supporto tecnico e non come oggetto di scienza. Il vero oggetto della catalogazione è, come s’è visto, il motivo.

Nelle sue espressioni più universali, il repertorio ornatistico è pressoché senza tempo: oggi si può legittimamente eseguire un meandro, motivo tipicamente greco, senza che in ciò via sia alcun anacronismo. Il meandro, essendo immediata espressione della griglia-base, difficilmente potrà esprimere categorie estetiche improntate alle personalità dell’artista. Un motivo come il girale, invece, con la varietà di soluzioni tipologiche e formali che lo caratterizzano, potrà esprimere diverse categorie pertinenti al tempo, al luogo e alla cultura di chi lo ha eseguito. Più i motivi sono vicini alle griglie-base, più appaiono neutri. Viceversa, più si caricano di elementi mimetici, di qualità zoomorfe e fitomorfe, più appaiono rivelatori del tempo e del luogo in cui sono stati prodotti e meglio si prestano ad analisi di tipo storico, iconografico e simbolico.

〈1〉 F. Petrie, Decorative Patterns of the Ancient World, New York, Dover, 1974 (ed. or. 1911).

〈2〉 E.H. Gombrich, Il senso dell'ordine. Studi sulla psicologia dell'arte decorativa, Milano, Phaidon Italia, 2010 (ed. or. 1979).

In alto: dettaglio di pavimentazione, Londra, Abbazia di Westminster.
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