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Giulio Romano

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Sono due le mostre che, dal 6 ottobre 2019 al 6 gennaio 2020, celebrano Giulio Romano a Mantova. A Palazzo Ducale si tiene “Con nuova e stravagante maniera”. Giulio Romano a Mantova, a cura di L. Angelucci, P. Assman, P. Bertelli, R. Serra (catalogo Skira). A Palazzo Te è invece visitabile Giulio Romano. Arte e desiderio, a cura di B. Furlotti, G. Rebecchini, L. Wolk-Simon (catalogo Electa).

Dopo Andrea Mantegna nella seconda metà del ‘400, Giulio Romano è, nella prima metà del ‘500, l’altra forte personalità che nobilita l’ambiente artistico di Mantova, all’apice della potenza politica dei Gonzaga, signori della città dal 1328 al 1707. Ma se Mantegna opera in un’Italia ancora al riparo dagli appetiti delle grandi monarchie europee, Giulio Romano attraversa una fase ulteriore e più rischiosa, quando il piccolo stato mantovano diventa una pedina essenziale nella politica italiana dell’imperatore Carlo V. Nato a Roma probabilmente nel 1492 e morto a Mantova nel 1546, Giulio lascia la sua città natale, dove è stato il principale collaboratore di Raffaello Sanzio, dopo la morte di questi, e già nel 1524 è alla corte dei Gonzaga. Gli vengono così risparmiate le drammatiche giornate del Sacco di Roma del 1527. E può intrattenere rapporti di prim’ordine in campo europeo, senza dover mai lasciare l’Italia, come capita a molti altri, da Primaticcio a Rosso Fiorentino.

Come già Raffaello e, prima di lui, il suo maestro Bramante, Giulio riunisce le competenze di pittore, architetto e conservatore/restauratore del patrimonio edilizio a lui affidato. La mostra di Palazzo Ducale fa il punto su tutti questi aspetti. E lo fa esponendo soprattutto disegni, molti dei quali provenienti dal Louvre di Parigi, dove si conserva il nucleo più vasto dell’opera grafica di Giulio. Questa comprende, infatti, schizzi preparatori per opere pittoriche, progetti architettonici e decorativi, e infine numerose idee grafiche per bacili, mestoli, candelabri, saliere ed altre suppellettili di lusso, che fanno di lui, più di Benvenuto Cellini o di altri artisti-artigiani che curano personalmente la realizzazione degli oggetti, un designer ante litteram. Molti tra i seguaci di Giulio figurano in mostra, a partire dal suo successore come Prefetto delle fabbriche ducali, Giovan Battista Bertani. I contributi in catalogo offrono uno spaccato di quella che fu una costellazione di botteghe, fedeli ad un maestro che proponeva modelli pensati per la semplificazione e la ripetizione.

L’esposizione di Palazzo Te è specificamente dedicata ai temi erotici nella produzione di Giulio e della sua scuola. Essa prende spunto dalla grande tela dei Due amanti, giunta in prestito dall’Ermitage di San Pietroburgo, per giungere poi alla notissima serie dei Modi, sedici varianti sull’accoppiamento tra uomo e donna. La serie è andata perduta nei soggetti originali di Giulio, ma è nota grazie alle incisioni di Marcantonio Raimondi, che illustrò l’omonima raccolta poetica di Pietro Aretino. Si tratta di un filone che attraversa tutto il rinascimento maturo. Raffaello e la sua cerchia lo sublimano affrescando saloni d’onore, logge e camere private. Tiziano e Correggio non sono da meno nei loro dipinti ad olio. A fianco di questa produzione di vertice, e in osmosi con essa, vi è l’ampia circolazione di bronzetti, incisioni, ceramiche, medaglie, che, emulando la tradizione profana della Roma imperiale, prefigurano il moderno mercato della pornografia. I contributi in catalogo si addentrano in questo labirinto, con qualche eufemismo di troppo e la solita riluttanza a sondare anche gli apporti della cultura popolare, che pure affiorano qua e là.

Come architetto, Giulio Romano è un assertore convinto del decoro classico, temperato da numerose infrazioni e ibridato con le tradizioni costruttive locali. Come autore degli affreschi storico-mitologici che decorano le due sedi di mostra, Palazzo Ducale e Palazzo Te, egli cavalca disinvoltamente la parodia e la caricatura, un po’ come accade, non lontano da Mantova, a Ludovico Ariosto, che per la corte estense di Ferrara reinventa, nelle pagine dell’Orlando furioso, le saghe cavalleresche medievali. Come produttore di immagini licenziose, Giulio media instancabilmente tra istanze aristocratiche e vitalità plebea, livelli alti e bassi della comunicazione per immagini. Il suo è un manierismo spettacolare, energetico, che apre la breccia in cui, mezzo secolo dopo, si farà strada lo slancio ormai barocco di Annibale Carracci.

In alto: Giulio Romano e aiuti, Sala di Troia (veduta parziale della volta e di una parete), 1536-40, affreschi, Mantova, Palazzo ducale (www.wga.hu). Sotto: Giulio Romano, Gli dei dell'Olimpo assistono terrorizzati alla caduta dei giganti, 1532-1534, disegno a penna con lumeggiature, mm. 504 x 920, Paris, Louvre, Département des Arts graphiques.

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